Ricorso ex art. 127 della  Costituzione  per  il  Presidente  del
Consiglio dei ministri, (codice fiscale n. 80188230587) rappresentato
e difeso per  legge  dall'Avvocatura  generale  dello  Stato  (codice
fiscale  n.   80224030587)   ags_m2@mailcert.avvocaturastato.it   fax
06/96514000 presso i cui uffici e' domiciliato in Roma alla  via  dei
Portoghesi n. 12, contro  la  Regione  Toscana,  (codice  fiscale  n.
01386030488) in persona del Presidente della Giunta pro  tempore  per
la declaratoria di  incostituzionalita'  della  legge  della  Regione
Toscana 7 agosto 2020, n. 82, pubblicata nel  B.U.R.  n.  81  del  12
agosto 2020, avente ad  oggetto  «Disposizioni  relative  alle  linee
guida regionali in materia di economia circolare e  all'installazione
degli impianti fotovoltaici a terra. Modifiche alla  legge  regionale
n. 34/2020 ed alla legge regionale n.  11/2011.»  in  relazione  alle
disposizioni di seguito indicate, per violazione dell'art. 117, terzo
comma della Costituzione,  in  relazione  alla  materia  «produzione,
trasporto e distribuzione nazionale dell'energia», violando di  norme
di principio contenute nel decreto legislativo n. 387/2007. 
    La legge regionale, che detta disposizioni  relative  alle  linee
guida regionali in materia di economia circolare e  all'installazione
degli impianti fotovoltaici a terra e modifica la legge regionale  n.
34/2020  e  la  legge  regionale  n.  11/2011,   appare   censurabile
relativamente alla disposizione contenuta nell'art. 2, commi 1, 2 e 3
che dettano disposizioni  relative  alla  realizzazione  di  impianti
fotovoltaici. 
    In particolare: 
      1) la disposizione  di  cui  all'art.  2,  comma  1,  inserisce
nell'art.  9  della  legge  regionale  n.  11   del   2011,   recante
«Disposizioni in materia di installazione di impianti  di  produzione
di energia elettrica da fonti rinnovabili di energia. Modifiche  alla
legge regionale 24 febbraio 2005, n. 39 (Disposizioni in  materia  di
energia) e alla legge regionale 3 gennaio 2005, n. 1  (Norme  per  il
governo del territorio)», il comma 1-bis, che recita:  «1-bis.  Fatte
salve le aree individuate all'art. 5, nelle aree rurali come definite
dall'art. 64 della legge regionale 10 novembre 2014, n. 65 (Norme per
il governo del  territorio)  e  identificate  negli  strumenti  della
pianificazione  territoriale  e  negli  altri  atti  di  governo  del
territorio di cui alla stessa legge regionale n. 65/2014, e'  ammessa
la realizzazione di impianti fotovoltaici a terra fino  alla  potenza
massima, per ciascun impianto, di 8.000 chilowatt elettrici.». 
    La norma regionale quindi introduce, riguardo alle aree rurali  -
fatte salve le aree urbanizzate destinate ad insediamenti produttivi,
commerciali  e  servizi  -  un  limite  di  potenza  ai  fini   della
realizzazione di impianti fotovoltaici a terra,  con  il  conseguente
divieto d'installazione per tutti gli impianti di potenza superiore a
quella definita normativamente. 
    Si rileva in proposito che, ai sensi dell'art. 12, comma  7,  del
decreto  legislativo  29  dicembre  2007,  n.  387,  la  destinazione
agricola di un'area non costituisce, in generale,  elemento  ostativo
all'installazione di  impianti  fotovoltaici  ed  in  tal  senso,  la
disposizione statale richiamata infatti dispone che gli  impianti  di
produzione di energia elettrica possono essere ubicati anche in  zone
classificate agricole dai vigenti piani urbanistici. 
    Come  precisato  dalla  giurisprudenza  amministrativa,   «Appare
evidente come il legislatore, nel rendere possibile  l'ubicazione  di
impianti  di  produzione  di  energia  anche  in  zone   classificate
agricole,  non  intende  consentire,   in   via   generalizzata,   la
possibilita' di ubicare impianti, per cosi' dire "a  discrezione  del
privato", derogando alle destinazioni impresse  al  territorio  dagli
strumenti urbanistici. La disposizione in  esame,  infatti,  contiene
una  possibilita'  offerta  alla  regione  in  sede  di  rilascio  di
autorizzazione unica regionale, di consentire l'ubicazione  anche  in
zone classificate agricole dagli strumenti urbanistici regionali,  ed
a tal fine indica alla medesima regione una  serie  di  elementi  dei
quali la stessa deve tenere conto,  laddove  intenda  determinarsi  a
tale scelta. L'art. 12, comma 7 del decreto legislativo n.  387/2007,
non  prevede  affatto  una  immediata  possibilita'  di  deroga  alla
zonizzazione comunale, ma si limita a non  impedire  che  cio'  possa
avvenire  qualora  -  nel  bilanciamento  degli  interessi   pubblici
presenti e tenuto conto degli elementi indicati dal legislatore -  si
ritenga che l'ubicazione in  zona  agricola  risulti  ragionevole  ed
opportuna» (Consiglio Stato, sezione IV, sentenza n. 1298/2017). 
    Seppure il  legislatore  nazionale,  nel  solco  di  un  percorso
normativo  teso  a  salvaguardare  la   destinazione   agricola   dei
territori,  ha  introdotto  un  generale  divieto  di  accesso   agli
incentivi per impianti fotovoltaici con moduli collocati a  terra  in
aree agricole (art. 65 del  decreto-legge  24  gennaio  2012,  n.  1,
convertito con modificazioni dalla legge 24 marzo 2012,  n.  27),  la
disposizione in esame contenuta nell'art. 2,  comma  1,  della  legge
regionale  non  trova  riscontro  nella  normativa  nazionale  e   di
conseguenza viola i limiti della competenza della regione in  materia
di «produzione, trasporto  e  distribuzione  nazionale  dell'energia»
art. 117, comma 3 della Costituzione. 
    Con  costante  orientamento  giurisprudenziale,   codesta   Corte
costituzionale ha dichiarato l'illegittimita' di previsioni regionali
che sanciscano, in via generale ed  astratta,  la  non  idoneita'  di
intere aree di territorio ovvero  impongano  limitazioni  in  maniera
generalizzata ed aprioristica. 
    E' stato in proposito affermato che:  «la  disciplina  di  regime
abilitativo degli impianti di energia da fonti rinnovabili,  rientra,
oltre  che  nella  materia  "tutela   dell'ambiente",   anche   nella
competenza  legislativa  concorrente,  in  quanto   riconducibile   a
'Produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell'energia»  (art.
117,  terzo  comma,  Costituzionale),  nel  cui  ambito,  i  principi
fondamentali sono dettati dal decreto legislativo n. 387/2003  ed  in
particolare dall'art. 12» (Corte costituzionale sentenza n.  177  del
2018). Alle regioni, quindi,  «e'  consentito  soltanto  individuare,
caso  per  caso,  aree  e  siti  non  idonei  (o  porre   particolari
limitazioni) in via di eccezione e solo qualora cio'  sia  necessario
per proteggere interessi costituzionalmente rilevanti, esclusivamente
all'esito di un  procedimento  amministrativo  nel  cui  ambito  deve
avvenire la valutazione sincronica di tutti  gli  interessi  pubblici
coinvolti e meritevoli di tutela,  come  prevede  il  paragrafo  17.1
delle linee  guida  nazionali  di  cui  al  decreto  ministeriale  10
settembre 2010» (Corte costituzionale sentenza n. 68/2018). 
    Il margine di intervento riconosciuto  al  legislatore  regionale
per individuare aree e siti non idonei, non permette, invece, «che le
regioni   prescrivano   limiti   generali   inderogabili,    valevoli
sull'intero territorio regionale,  specie  nella  forma  di  distanze
minime o di potenza dell'impianto perche' cio' contrasterebbe con  il
principio di massima diffusione delle fonti di  energia  rinnovabili,
stabilito dal  legislatore  statale  in  conformita'  alla  normativa
dell'Unione europea» (Corte costituzionale sentenza n. 13/2014). 
    Piu' di  recente  i  medesimi  principi  ermeneutici  sono  stati
ribaditi da codesta Corte laddove si e' affermato che «la  disciplina
del regime abilitativo degli impianti di energia da fonti rinnovabili
rientra, oltre che nella materia `tutela dell'ambiente', anche  nella
competenza  legislativa  concorrente,  in  quanto   riconducibile   a
'produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell'energia'  (art.
117,  terzo  comma,  Costituzione),  nel  cui   ambito   i   principi
fondamentali sono dettati anche dal decreto legislativo  n.  387  del
2003 e, in specie, dall'art. 12 (ex multis, sentenza n. 14 del 2018)»
(sentenza  n.  177  del  2018).  Pertanto,  il  legislatore   statale
"attraverso la disciplina delle procedure per l'autorizzazione  degli
impianti di produzione di energia da fonti rinnovabili, ha introdotto
principi che [...] non  tollerano  eccezioni  sull'intero  territorio
nazionale" (sentenze n. 69 del 2018 e n. 99 del 2012).  Principi  che
si desumono dalle «Linee guida» di cui  al  decreto  ministeriale  10
settembre 2010, adottate in attuazione dell'art. 12,  comma  10,  del
decreto legislativo n. 387 del 2003, da quest'ultimo  decreto  e  dal
decreto legislativo n. 28 del 2011, e il cui rispetto  si  impone  al
legislatore regionale» (Corte costituzionale sentenze n. 86 e 286 del
2019). 
    Diversamente,  la  soluzione  normativa  adottata  dalla  Regione
Toscana  con  la  norma  in  esame,  nel   prescrivere   un   vincolo
generalizzato alla  potenza  dell'impianto  da  realizzare  in  «area
rurale» (vale a dire area  agricola),  a  fronte  di  una  disciplina
normativa  nazionale  che  non  prevede  un  analogo   divieto   alla
realizzazione di impianti fotovoltaici in area agricola superiore  ad
una determinata soglia di potenza, non  consente  un'adeguata  tutela
dei  molteplici  e  rilevanti  interessi  coinvolti,   ponendosi   in
contrasto con il principio, di  derivazione  europea,  della  massima
diffusione degli impianti da fonti di energia rinnovabili. 
    La norma regionale eccede  quindi  dai  limiti  della  competenza
della regione in materia di «produzione,  trasporto  e  distribuzione
nazionale  dell'energia»  i  cui  principi  fondamentali,  ai   sensi
dell'art.  117,  terzo  comma,  della  Costituzione   devono   essere
stabiliti dallo Stato; 
      2)  parimenti   illegittima,   per   violazione   di   principi
fondamentali dettati dallo Stato in materia di «produzione, trasporto
e distribuzione nazionale dell'energia» e quindi  per  contrasto  con
l'art. 117, terzo comma della Costituzione, e' la disposizione di cui
all'art. 2, comma 2, della legge regionale in  esame,  che  introduce
all'art. 9 della citata legge regionale n.  11  del  2011,  il  comma
1-ter, disponendo che, «nelle aree rurali di cui al comma 1-bis,  per
gli impianti' fotovoltaici  a  terra  di  potenza  superiore  a  1000
chilowatt  elettrici,  l'autorizzazione  unica  alla  costruzione  ed
esercizio e' rilasciata previa  intesa  con  il  comune  o  i  comuni
interessati». 
    Al riguardo, le disposizioni dettate dalle Linee Guida  nazionali
di cui al decreto ministeriale 10 settembre 2010, nonche' soprattutto
l'art. 12 del decreto legislativo n. 387/2993, agli articoli  5  e  6
del decreto legislativo n. 28/2011, rubricati «Autorizzazione  unica»
e  «Procedura  abilitativa  semplificata  e  comunicazione  per   gli
impianti alimentati da energia rinnovabile», fissano in  modo  chiaro
ed inderogabile le procedure autorizzative  per  la  realizzazione  e
l'esercizio degli impianti alimentati a fonte rinnovabile. 
    In particolare, dal complesso normativo emerge chiaramente che la
Conferenza dei servizi, convocata dalla regione o provincia delegata,
nel caso di specie  riguardo  all'ipotesi  di  autorizzazione  unica,
costituisce l'unico strumento  «nell'ambito  del  quale  confluiscono
tutti gli apporti  amministrativi  necessari  per  la  costruzione  e
l'esercizio   dell'impianto,   delle   opere   connesse    e    delle
infrastrutture indispensabili»  (paragrafo  14.1  delle  Linee  Guida
nazionali di cui al decreto ministeriale 10 settembre 2010). 
    In  ragione  del  rinvio  operato  dall'art.   12   del   decreto
legislativo n. 387/2003 alla legge n. 241/1990 in tema di  conferenza
dei servizi, ai sensi dell'art. 14-quater della legge n. 241/1990, le
amministrazioni convocate devono  esprimere  esclusivamente  in  tale
ambito il proprio eventuale dissenso,  a  pena  di  inammissibilita',
motivatamente. 
    Invero, come  affermato  da  codesta  Corte  costituzionale,  «La
costruzione e l'esercizio  degli  impianti  di  produzione  elettrica
alimentati da fonti rinnovabili, sono soggetti ad una  autorizzazione
unica  rilasciata  dalla  regione,  che  e'  tenuta  a  convocare  la
Conferenza di  servizi.  Tutte  le  amministrazioni  interessate  dal
progetto sono tenute a partecipare alla conferenza e ad esprimere  in
tale sede, anche i pareri di cui sono investiti per legge, secondo le
dinamiche collaborative proprie dello  strumento  di  semplificazione
procedimentale che disciplina il procedimento amministrativo volto al
rilascio della indicata autorizzazione. La  norma  statale,  infatti,
ispirata a canoni di semplificazione, e' finalizzata a  rendere  piu'
rapida la costruzione degli impianti di  energia  alternativa  e  non
contempla alcuna delle condizioni o degli adempimenti previsti  dalle
disposizioni regionali impugnate, quali, tra gli altri, la necessaria
previa adozione da parte dei comuni, di uno  specifico  strumento  di
pianificazione (PRIE)  e  la  fissazione  di  un  indice  massimo  di
affollamento (parametro di controllo P). Tale contrasto  comporta  la
violazione dell'indicato parametro  costituzionale,  non  potendo  il
legislatore regionale introdurre,  nell'ambito  del  procedimento  di
autorizzazione  di  cui  all'art.  12  del  decreto  legislativo   n.
387/2003, nuovi o diversi  adempimenti  rispetto  a  quelli  indicati
dalla norma statale» (Corte costituzionale sentenza n. 344/2010). 
    In termini  analoghi  si  esprime  la  prevalente  giurisprudenza
amministrativa,  osservando  che  «L'adozione  di  misure  (...)  che
comportino  un  sostanziale  blocco  generalizzato  delle   procedure
autorizzative per la realizzazione di impianti eolici, deve ritenersi
illegittima, sia per violazione dell'art. 12 del decreto  legislativo
n. 387/2003, e, per  tale  via,  dell'art.  117,  terzo  comma  della
Costituzione, sia per violazione  dei  principi  sovranazionali  tesi
alla valorizzazione e incentivazione della produzione di  energia  da
fonti rinnovabili, derivanti dalla  disciplina  comunitaria  e  dagli
accordi  internazionali  (direttiva  27  settembre  2001,  2001/77/CE
"Direttiva del Parlamento europeo e del  Consiglio  sulla  promozione
dell'energia elettrica prodotta da fonti energetiche rinnovabili  nel
mercato interno dell'elettricita'" e il Protocollo di Kyoto») (T.A.R.
Sardegna sezione I, 14 gennaio 2011, n. 32). 
    La disposizione censurata, in spregio alle norme ed  ai  principi
interpretativi sopra richiamati, prevede invece, per gli impianti  di
potenza  superiore  a   1.000   chilowatt   elettrici,   un   sistema
autorizzatorio affatto diverso in virtu' del  quale  l'autorizzazione
unica alla realizzazione dell'impianto non potrebbe essere  in  alcun
modo rilasciata in difetto della preventiva intesa con il comune. 
    La disposizione regionale che si censura altera dunque il  quadro
delle competenze amministrative definito a livello  della  normazione
di principio statale e vanifica  l'obbiettivo  di  semplificazione  e
razionalizzazione che si intendeva conseguire attraverso  il  ricorso
all'autorizzazione unica. 
    D'altronde  nel  quadro  normativo  statale  il  comune   dispone
certamente della possibilita'  di  rappresentare  l'eventuale  regime
vincolistico vigente  a  livello  locale,  ma  puo'  esercitare  tale
facolta' solo nell'ambito della conferenza di servizi la cui funzione
e' appunto quella di comporre in un unico deliberato l'insieme  degli
interessi, anche variegati, espressi dalle amministrazioni coinvolte,
per offrire  all'operatore  economico  un  unico  interlocutore,  con
indubbi vantaggi in termini efficienza, trasparenza ed  affidabilita'
dell'azione amministrativa. 
    Del  resto  codesta  Corte  ha  piu'  volte  affermato  che:  «il
procedimento di autorizzazione unica alla realizzazione  di  impianti
di energia da fonti rinnovabili, di cui all'art.  12,  comma  4,  del
decreto legislativo n. 387 del 2003, e' ispirato «alle  regole  della
semplificazione amministrativa e  della  celerita'»  ed  e'  volto  a
garantire, «in modo uniforme  sull'intero  territorio  nazionale,  la
conclusione entro un termine definito del procedimento autorizzativo»
(sentenze n. 177 del 2018 e n. 156 del  2016),  in  coerenza  con  il
particolare favor riconosciuto  alle  fonti  energetiche  rinnovabili
dalla disciplina interna e sovranazionale. Esso, peraltro,  e'  stato
puntualmente  disciplinato   dal   legislatore   contemperando   vari
interessi, costituzionalmente rilevanti, per certi versi interni alla
medesima materia della tutela dell'ambiente «attraverso l'incrocio di
diverse tipologie di verifica, il cui coordinamento»  -  in  sede  di
conferenza di servizi - «e  la  cui  acquisizione  sincronica,  [...]
necessari per l'autorizzazione unica finale, non tollerano  ulteriori
differenziazioni su base regionale» (Corte costituzionale sentenza n.
267 del 2016 e 106 del 2020); 
      3) Le illegittimita' sopra evidenziate si estendono e per certi
versi si amplificano nel comma 3 dello  stesso  art.  2  della  legge
regionale  in  esame,  che,  intervenendo  sull'art.  9  della  legge
regionale n. 11 del 2011, prevede che  «Le  disposizioni  di  cui  ai
commi 1-bis e 1-ter, si applicano anche ai procedimenti in corso alla
data  di   entrata   in   vigore   del   presente   comma,   relativi
all'autorizzazione unica di cui all'art. 12 del  decreto  legislativo
n. 387/2003». 
    In questo caso la disposizione  regionale,  in  mancanza  di  una
norma transitoria, estende la nuova disciplina anche ai  procedimenti
gia' avviati imponendo agli operatori economici un radicale cambio di
prospettiva con il probabile azzeramento delle procedure in  corso  e
con una sensibile alterazione dell'assetto regolatorio.